Achille Albonetti on line

Recensioni a

Edizioni Lavoro, Roma, 2005, pp. 215, ISBN 88-7313-137-9, € 12,5
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http://www.edizionilavoro.it

Prefazione di Sergio Romano
Aldo Rizzo in “La Stampa” (13 settembre 2005)
Paolo Migliavacca in www.ilsole24ore.com (7 ottobre 2005)
Paolo Cacace in “Il Messaggero” (20 ottobre 2005)
Presentazione del libro (Roma, 16 novembre 2005)
Antonio Carioti in “Corriere della Sera” (30 dicembre 2005)
Ferruccio de Bortoli, direttore de “Il Sole-24 Ore” (27 gennaio 2006)

 

È in edicola
Achille Albonetti, L’Italia, la politica estera e l’unità dell’Europa. Recensioni e commenti, Edizioni Lavoro, Roma 2007, pp. 70

La fine del XX secolo e l’inizio del XXI; l’ampliamento della Nato da 19 a 27 Stati membri; l’allargamento dell’Unione europea da 15 a 25 paesi; la firma del Trattato costituzionale; la divisione dell’Europa e la conseguente impotenza e irrilevanza manifestate nella recente guerra in Iraq; le carenze della politica europeistica del governo Berlusconi.
Questi alcuni temi, di grande attualità, trattati dall’Autore, che pone l’accento sul primato della politica estera e sulle sfide che l’Europa è chiamata ad affrontare nei prossimi decenni.
Dopo aver esaminato la politica interna ed estera del nostro Paese, dall’Unità ai giorni nostri, ampio spazio è dato ai rapporti con gli Stati Uniti, sia dell’Italia che dell’Europa.
A tali problematiche si accompagnano alcune considerazioni relative alla questione energetica, strategica per il nostro futuro, e suggerimenti per evitare il pericolo dell’isolamento e declassamento dell’Italia sulla scena internazionale. Infine, vengono illustrati i motivi per un rilancio della politica estera italiana e europea.

Sommario

Prefazione di Sergio Romano
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Nel cantiere dell’integrazione europea hanno lavorato, soprattutto nei primi due decenni, alcuni artigiani. Non erano uomini politici e non ebbero quasi mai incarichi ministeriali.
Erano tecnocrati, grand commis, consiglieri, intellettuali. Il maggiore di essi fu naturalmente Jean Monnet, autore di quasi tutti i progetti che furono realizzati fra la fine degli anni Quaranta e la fine degli anni Sessanta.
Molti crebbero accanto a lui e ne continuarono il lavoro: Robert Marjolin, Emile Noël, Georges Berthoin, Etienne Hirsch. Altri, come Etienne Davignon, andarono alla scuola di Paul-Henri Spaak. Altri ancora, come Roberto Ducci, Cesidio Guazzaroni e Renato Ruggiero erano italiani. Fra di essi vi è certamente l’autore di questo libro.
Achille Albonetti è stato Consigliere della Rappresentanza italiana all’Oece, membro delle delegazioni che hanno negoziato i Trattati europei degli anni Cinquanta, capo di Gabinetto del vice-presidente della Commissione e Governatore italiano nell’organo direttivo dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica delle Nazioni Unite. È stato, anche, Presidente della Total italiana e presidente dell’Unione Petrolifera. Da venticinque anni dirige la rivista trimestrale “Affari Esteri”.
Sa di appartenere alla generazione che «ha fatto l’Europa», ne è legittimamente orgoglioso e non può fare a meno di ricordare con soddisfazione quella fase della nostra storia nazionale in cui i Governi centristi, quasi sempre guidati da un uomo politico democristiano, fecero scelte che hanno disegnato il profilo nazionale e internazionale del Paese: l’economia di mercato, la costruzione dell’Europa unita, l’alleanza con gli Stati Uniti.
Può darsi che l’Italia di allora sia diventata nei suoi ricordi migliore della realtà e che il sistema politico di quegli anni gli appaia più efficace di quanto non fosse. Ma le presenti condizioni del suo Paese e dell’Europa giustificano un po’ di nostalgia e di amarezza.
L’amarezza è probabilmente il sentimento che ha spinto Albonetti a scrivere questo libro.
Silvio Berlusconi ha adottato nelle questioni europee una linea apparentemente ortodossa, ma in realtà tiepida e distratta. Ha abbandonato il grande progetto comune per la costruzione di un aereo militare da trasporto. Ha lasciato che la Lega ritardasse per parecchio tempo l’approvazione del mandato di cattura europeo. Ha ceduto alla tentazione di rispondere sarcasticamente, durante una memorabile seduta del Parlamento di Strasburgo, alle provocazioni di un deputato socialista tedesco.
Ha permesso che i suoi personali bisticci con Romano Prodi andassero in scena di fronte all’Europa e avessero un effetto disastroso sulla presidenza italiana dell’Unione durante il secondo semestre del 2003. Ha fatto poco per contrastare con efficacia i vari direttòri che sono spuntati come funghi nel sottobosco europeo in questi ultimi tempi.
Negli altri maggiori Paesi dell’Unione il clima non è migliore. Gli inglesi vogliono un’Europa che non pregiudichi i loro rapporti speciali con gli Stati Uniti. La Francia di Chirac è afflitta da una sindrome gollista che appare, oggi più che mai, anacronistica. La Germania di Schröder sembra preferire il proprio prestigio a quello dell’Europa. La Spagna di Zapatero è più europea di quella di Aznar, ma sempre pronta a saltare sul primo direttorio che le passa accanto.
L’allargamento rischia di rendere l’Europa ingovernabile.
La Costituzione è un passo avanti, ma conferma che gli Stati non intendono rinunciare a quel tanto di sovranità che ancora rimane nelle loro mani dopo i progressi unitari degli anni Novanta. Parliamo molto di unilateralismo americano. Ma dimentichiamo di osservare che l’arroganza degli Stati Uniti è soltanto il recto di una medaglia che reca sul verso l’immagine di un’Europa imbelle e impotente.
La chiave di volta delle riflessioni dell’autore è una tesi che sembra aver perduto in Europa, negli ultimi cinquant’anni, una parte del suo originale prestigio. Albonetti crede nel primato della politica estera ed è convinto che il ruolo internazionale di uno Stato o di una federazione fra Stati sia il fattore che maggiormente contribuisce a definire la sua identità e la sua autorità.
Ma la politica estera è per l’appunto ciò che maggiormente manca all’Unione Europea. Abbiamo una politica agricola comune, un bilancio comunitario, un mercato unico, una moneta unica, una frontiera unica, una politica commerciale comune e un Parlamento che è andato progressivamente aumentando le sue competenze. Ma non abbiamo una politica estera europea. Questa contraddizione appare ad Albonetti pericolosa.
Credo che abbia ragione. La politica estera non è un sovrappiù che corona e decora il castello delle competenze statali. È un luogo in cui confluiscono tutti i poteri dello Stato. È il nodo che stringe insieme tutte le sue politiche. È un test di credibilità e coerenza.
Supporre che ogni Paese possa voltare le spalle al mondo, delegare ad altri la difesa dei propri interessi nella comunità internazionale e praticare al tempo stesso politiche nazionali conformi alle proprie esigenze, è assurdo. Senza la sintesi di una politica estera i singoli attributi della sovranità statale sono ombre, fantasmi, flatus vocis.
Se questo fu vero, in passato, per i singoli Stati europei, è ancora più vero per l’Unione: un mostro istituzionale assai più avanzato, in molti campi, di alcuni Stati federali all’inizio della loro storia, ma monco e incompiuto.
In queste condizioni le politiche nazionali dei singoli membri dell’Unione non potranno che disfare continuamente la trama tessuta dalla Commissione di Bruxelles. Ce ne accorgiamo nel rapporto con gli Stati Uniti, dove la pluralità delle posizioni condanna l’Europa all’impotenza e offre a Washington gli strumenti per «dividere e imperare».
Troppo appassionato per limitarsi alle analisi e alle constatazioni, Albonetti conclude il suo libro con una proposta. Occorre che l’Italia promuova con i maggiori Paesi dell’Unione un’iniziativa per la politica estera comune e soprattutto per la creazione di uno strumento militare che dia credibilità alla sua diplomazia.
Ritorna in queste ultime pagine un tema, quello della politica nucleare europea, a cui l’autore ha dedicato in passato molta attenzione. E se non tutti saranno d’accordo, pazienza: i Paesi fondatori hanno il diritto e il dovere di aprire la strada. Perché l’Europa, fino a quando non avrà un deterrente comune e, incidentalmente, un seggio al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sarà soltanto, nella migliore delle ipotesi, un club economico-monetario.
Albonetti sa quali e quanti ostacoli le sue proposte troveranno sulla loro strada. Ma ha il merito di preferire la franchezza alla retorica e di affrontare un tema che molti preferiscono eludere. È questo il merito maggiore del suo libro.

Sergio Romano
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Sommario de L’Italia, la politica estera e l’unità dell’Europa di Achille Albonetti
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Prefazione di Sergio Romano

Introduzione

Capitolo primo
L’Italia e il primato della politica estera
La giustizia – Una tesi disperala, ma discutibile – Le basi dello sviluppo: la democrazia e l’economia di mercato – I tre periodi della nostra storia nazionale e il primato della politica estera – La politica estera dell’Italia nel periodo 1870-1922 – La politica interna nel periodo 1870-1922 – La politica economica nel periodo 1870-1922 – La politica estera nel periodo fascista (1922-1945) – La politica interna nel periodo fascista (1922-1945) – La politica economica nel periodo fascista (1922-1945) – La politica estera, interna ed economica della Repubblica (1946-2004) – La politica estera della Repubblica ( 1946-2004) – La politica interna della Repubblica (1946-2004) – La politica economica della Repubblica (1946-2004) – Lo sviluppo dell’Italia e gli altri Paesi – Il declino dell’Europa e dell’ltalia – II progresso non è soltanto economico – I problemi da risolvere per la crescita dell’ordinamento democratico – La politica estera – La politica interna – Il finanziamento illecito della politica – La necessità di un programma – Il finanziamento illecito della politica all’estero – Lo sviluppo della democrazia – Alcune considerazioni conclusive

Capitolo secondo
L’Italia, l’Europa e gli Stati Uniti
Prima premessa
. I due nuovi valori condivisi dall’Europa e dagli Stati Uniti – Seconda premessa. Gli Stati Uniti esistono. L’Europa no – Terza premessa. L’Europa, centro del mondo nel XIX secolo – Quarta premessa. Gli Stati Uniti salvano l’Europa nel XX secolo – Quinta premessa. Il declino dell’Europa continuerà, se non ci uniremo politicamente – Sesta premessa. L’unità economica dell’Europa non è sufficiente – Settima premessa. La necessità di ulteriori progressi per l’unità politica dell’Europa – Le due sfide epocali e i due obiettivi prioritari – Il primo obiettivo: la tutela e la crescita dei due nuovi valori liberali, la democrazia e il mercato – Le iniziative per tutelare la competizione economica – L’inerzia per tutelare la democrazia – La democrazia, la competizione politica e i partiti – Una situazione pre-giuridica – Democrazia o plutocrazia? Gli scandali in Europa e la ragion di StatoIl secondo obiettivo: l’unità politica e di difesa dell’Europa – L’integrazione europea nel settore nucleare e convenzionale – Gli strumenti per l’unità politica e di difesa dell’Europa – Conclusione – Le altre importanti sfide

Capitolo terzo
L’energia nucleare e la politica estera europea all’inizio del Terzo millennio
L’energia, un settore strategico – L’evoluzione delle fonti e dei consumi di energia – L’energia strumento di progresso ed anche di offesa e di difesa – Le nuove energie: il carbone, il petrolio e l’energia nucleare – La ricerca nucleare e la collaborazione internazionale – L’atomica dell’India e del Pakistan. Un nuovo mondo? – La questione nucleare nel dopoguerra – L’Italia e la questione nucleare – L’Italia e la clausola europea del TNP – L’opzione nucleare zero della Gran Bretagna e del Giappone – La situazione dell’Italia – L’Italia, la Francia, la Germania e la politica di unità europea – L’Unione Europea e la politica estera e di sicurezza comune – La necessità di una nuova iniziativa – Un’arma di dissuasione al servizio dell’Europa – Un deterrente europeo. La posizione di Francia, Gran Bretagna, Germania e Italia – La difficoltà di eliminare le armi nucleari e l’Italia – La politica estera nel mondo nucleare – Le sfide del XXI secolo – La Cina, un gigante dai piedi di argilla – I pessimisti, i catastrofisti e gli ottimisti – Alcune conclusioni. Gli enormi problemi da risolvere

Capitolo quarto
Un direttorio tra la Francia, la Germania e il Regno Unito?
Un mutamento della politica estera degli Stati Uniti e del Regno Unito verso l’Europa? – I motivi dell’intesa a tre – I precedenti del Direttorio – La nascita del Direttorio tra Francia Germania e Regno Unito – Gli stati Uniti e il Direttorio – L’Italia, le grandi potenze europee e l’unità dell’Europa – L’Italia, i paesi fondatori e il Regno Unito – L’assenza al Vertice del 29 aprile 2oo3 – Cosa fare di fronte al Direttorio?

Capitolo quinto
L’Italia e un’iniziativa dei Fondatori per l’Europa politica
La supremazia degli Stati Uniti – Il declino dell’Europa – L’interdipendenza tra gli Stati Uniti e l’Europa – La mancanza di un’identità politica europea, cioè di una politica estera e di difesa comune – Cosa fare per progredire verso l’Europa politica – I tentativi per raggiungere l’unità politica e di difesa dell’Europa – La strategia di Lisbona – L’adesione della Turchia all’Unione Europea – I pericoli dell’inerzia – Alcuni importanti sviluppi – La necessità di una nuova iniziativa dei sei Stati fondatori – Un nuovo dialogo con la Francia e la Germania – Il cruciale problema dell’Iran nucleare. Un Direttorio europeo senza l’Italia? L’Ue 3 o EU 3 – Le solidarietà di fatto nel settore della difesa – Arrestare il declino dell’Europa e il declassamento dell’Italia

Bibliografia sommaria Repertorio delle sigleLa politica estera italiana (1870-2004). I principali avvenimenti di interesse italianoIndice dei nomiTavole Su

 

“La Stampa” (Torino)
13 settembre 2005
La Lettura
POLITICA EUROPEA L’ILLUSTRE SCONOSCIUTA
di Aldo Rizzo

L’Italia vive una confusa stagione pre-elettorale, nella quale tutto è in discussione, almeno in apparenza, compresa la natura stessa del nostro sistema politico (ancora bipolare?). E naturalmente i casi dell’economia, della giustizia, della sicurezza, ecc. Manca, quasi completamente, la politica estera, almeno nell’accezione più prossima a noi, la politica europea. Eppure l’Ue, di cui l’Italia è fra i membri più importanti, se non altro sotto il profilo storico, attraverso uno dei momenti più grigi, o addirittura inquietanti, per i contrasti tra i governi nazionali e l’affievolimento della spinta comune verso l’integrazione. Ma i programmi dei partiti e delle coalizioni (se ancora esistono) non ne fanno gran conto. Certo, quale più e quale meno. Nell’area dell’attuale maggioranza, sicuramente meno.
Questa è una premessa per dire quanto sia utile, a mio giudizio, il libro di sintesi e di proposta, sull’Italia e l’Europa, di Achille Albonetti, un libro che i nostri politici dovrebbero leggere, per uscire dal cortocircuito delle questioni e delle rivalità interne. Che ovviamente hanno anch’esse un loro legittimo peso, ma non fino al punto di dimenticare o trascurare il quadro esterno, che è insieme il nostro limite e la nostra grande, non esaurita, opportunità.
Achille Albonetti, come ricorda Sergio Romano nella prefazione, è uno dei «grand commis» dell’Europa comunitaria, nella quale ha svolto funzioni importanti (a partire dalla partecipazione giovanile alla redazione dei Trattati di Roma. Da più di vent’anni dirige la rivista Affari Esteri. Il libro, dicevo, è sintesi e proposta. Sintesi (con qualche comprensibile nostalgia, nota ancora Romano) dei governi della Prima Repubblica, discussi per altre ragioni, ma coerentemente e tenecemente europeisti, pur restando atlantici. Ma anche proposta, nel senso della necessità e della possibilità di superare il momento grigio dell’Ue e l’opacità della politica europea dell’Italia degli ultimi anni. Albonetti vede connessi tra loro il declino dell’Europa e il «declassamento» dell’Italia. Se il prossimo governo di Roma, quale che sia, avrà la volontà e la forza di recuperare l’antico spirito d’iniziativa, chiamando a raccolta i vecchi fondatori e altri soci disponibili, per un disegno strategico comune, l’Unione europea se ne avvanteggerà, e più ancora l’Italia.
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www.ilsole24ore.com (Milano)
7 ottobre 2005
Tempo libero e cultura - Libri
ALBONETTI: L’ITALIA E LA SUA VOCAZIONE EUROPEISTA
di Paolo Migliavacca

La politica estera e di sicurezza è il pilastro che sostiene l’attività statuale dell’Italia, nella sua non lunga storia unitaria, ma, soprattutto, in questo dopoguerra, grazie a tre fattori decisivi: i rapporti con gli Stati Uniti e la Nato, l’unità europea e la scelta del libero mercato.
Ed è anche il perno intorno al quale ruota e si decide il futuro dell’Europa: senza di essa, l’allargamento indebolisce le prospettive dell’Unione e si ritorna alla «nefasta politica di equilibrio e di potenza». Da cui tutti uscirebbero perdenti.
Achille Albonetti, oggi condirettore di “Affari esteri” ma con un passato di prestigioso grand commis (Consigliere della rappresentanza italiana all’Oece, membro di molte delegazioni che hanno negoziato i Trattati europei degli anni 50, capo di Gabinetto del vice-presidente della Commissione europea, Governatore italiano nella direzione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica e poi presidente dell’Unione petrolifera italiana), è autore di numerosi libri, tra cui alcuni fondamentali sulla politica nucleare del nostro Paese, di cui è uno dei maggiori esperti. Ora ha dato alle stampe questo agile testo perchè, come afferma nella sua prefazione Sergio Romano, deluso dall’attuale situazione in cui versano la politica estera italiana ed europea, intende denunciare lo «stato di declino dell’Europa e il declassamento dell’Italia» come il pericolo supremo che corrono entrambe.
Dopo aver conosciuto i benefici di mezzo secolo di straordinario sviluppo economico, l’Italia si è concentrata, con il secondo governo Berlusconi, su una politica di stretta collaborazione con gli Usa, trascurando però la sua tradizionale vocazione europeista, proprio mentre l’Europa evidenziava la contraddizione di un’unione economica che non sa diventare anche politica. Come provano crudamente alcuni recenti rifiuti di ratifica del Trattato costituzionale, anche e soprattutto perché non c’è accordo sulla realizzazione di una politica estera e di difesa comune, mentre l’attuale amministrazione statunitense ne sottolinea con spietatezza i limiti con il suo unilateralismo.
La palese delusione si fa appassionata e puntuale denuncia dei pericoli che corriamo tutti a causa di quella sorta di “mostro” istituzionale che regge il continente, «assai più avanzato, in molti campi, di alcuni Stati federali all’inizio della loro storia, ma monco e incompiuto» nella sua proiezione esterna. Da qui tutta la serie di “furbizie” diplomatiche e miopi sgambetti (che Albonetti ricostruisce con puntigliosa precisione) che i maggiori protagonisti della scena europea - stati e statisti - si giocano l’un l’altro per riaffermare il loro anacronistico ruolo e prestigio. Senz’accorgersi che il vascello comune finora costruito, grandioso e possente in campo economico, fa acqua da ogni parte sul piano esterno perché nessuno vuole realmente dotarlo degli strumenti per navigare in piena sicurezza e rischia, quindi, di affondare ancor prima di aver preso il largo nei mari tempestosi dei nuovi equilibri internazionali che si vanno delineando. Occorre, sostiene l’Autore, che l’Europa si dia i necessari strumenti militari (primo tra tutti un moderno e comune deterrente atomico, ma anche una voce e un seggio solo all’Onu) per tutelare i propri interessi nel mondo, al fianco degli Usa ma in posizione di partner paritario, non subalterno. Chi tra i 25 Paesi è più conscio di questi pericoli, deve farsi carico della situazione, specie il “nucleo duro” dei sei Paesi fondatori. E chi non ci sta, sia lasciato indietro: l’Europa, dichiara con brutale franchezza Albonetti, non può più aspettare chi tentenna o è incerto. Pena veder naufragare quella speranza di unione anche politica che ha animato i Padri fondatori. Tra cui anche lui merita un posto. E non in ultima fila.
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“Il Messaggero” (Roma)
20 ottobre 2005
Saggi
NOI E L’EUROPA: QUEI TRE “PERIODI” DI UNA POLITICA
di Paolo Cacace

Diverse sono le ragioni per cui la politica estera italiana da qualche anno è ondivaga, senza bussola. Tra le più importanti c’è la carenza del contributo di esperti autorevoli, di “grand commis” dello Stato, in grado di orientare le scelte politiche e diplomatiche. Achille Albonetti è uno di loro, è uno dei più profondi conoscitori delle dinamiche della politica estera. Lo conferma ampiamente con il suo volume L’Italia, la politica estera e l’unità dell’Europa (con prefazione di Sergio Romano) in cui esamina sinteticamente, sotto vari aspetti, i tre periodi-chiave della nostra storia nazionale (post-risorgimentale, fascista e repubblicano) con una tesi ben precisa: il primato della politica estera o, meglio, la necessità di ripristinare questo primato per evitare che l’Italia – e quindi l’Europa – sia vittima di un progressivo “declassamento”. Beninteso: quello di Albonetti non è l’atto di fede di un addetto ai lavori, è una riflessione documentata, stringente, spesso inoppugnabile, su come – oggi più che mai – la politica estera riassuma in sé tutte le attività dello Stato. Naturalmente questa convinzione non è priva di effetti, di conseguenze logiche. Pragmatico com’è sempre stato nella sua lunga e operosa attività, Albonetti avanza alcune proposte concrete per arrestare il declino italiano ed europeo. Soprattutto al nostro governo egli chiede un’iniziativa rapida – di concerto con gli altri Paesi fondatori della Ue – per superare la crisi costutuzionale e scongiurare il rischio di quei direttorii che minano alle fondamenta la costruzione europea. Ma ci saranno orecchi disposti ad ascoltare?
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Presentazione del libro


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“Corriere della Sera” (Milano)
3o dicembre 2005
Per Achille Albonetti una risoluta iniziativa d’integrazione è l’unica ricetta valida per le sfide del terzo millennio
L’INERZIA UCCIDE L’EUROPA, MA LA DIFESA NUCLEARE PUÒ RILANCIARLA
di Antonio Carioti

Basta con il pessimismo e la rassegnazione. Achille Albonetti, dall’alto della sua lunga esperienza nelle istituzioni europee e internazionali esorta l’Italia a scuotersi e a riacquistare fiducia nei suoi mezzi. In fondo, ricorda, negli ultimi sessant’anni abbiamo compiuto enormi progressi, malgrado i tanti ostacoli che avevamo di fronte.
I.o stesso vale per l’Europa. Albonetti è convinto che una politica estera e difensiva comune, con tanto di deterrente nucleare gestito dall’Unione, sia un obiettivo lontano, ma raggiungibile purché non si ceda alla spirale dell’inerzia, che può compromettere anche il «processo d’integrazione economica e finanziaria già raggiunto».
Dal suo libro esce dunque l’immagine di un’Italia e di un’Europa al bivio: afflitte da pesanti problemi, ma al tempo stesso dotate di grandi potenzialità. Il bilancio dell’attuale governo di Roma, secondo Albonetti, è carente: una parte ha varato riforme improvvide, tali da prefigurare «una svolta cesaristica»; dall’altra ha trascurato le politiche europee, esponendosi al rischio del declassamento rispetto al direttorio tra Francia, Germania e Gran Bretagna che si è andato man mano delineando. Per invertire la tendenza bisogna promuovere una forte iniziativa degli Stati fondatori della Comunità verso un’integrazione più stretta, senza farsi condizionare dalla renitenza dei britannici: «Se sei Paesi fondatori si uniranno politicamente, Londra seguirà».
Albonetti, come si vede, è un europeista fervente, tanto da non sottovalutare le conseguenze dei no referendari, in Francia e Olanda, al Trattato costituzionale dell’Ue. Ma non cede mai a suggestioni antiamericane. Anzi definisce «infelice e pericoloso» l’atteggiamento assunto da Parigi e Berlino contro l’intervento militare in Iraq. E si sofferma a lungo sul pericolo costituito dalle ambizioni nucleari dell’Iran. Il suo sogno non è un’Europa che controbilanci gli Usa, ma che collabori attivamente con Washington alla costruzione di un ordine internazionale più stabile.
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Ferruccio de Bortoli, Direttore de Il Sole 24 Ore (Milano)
27 gennaio 2006



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Aggiornamento più recente: 11 febbraio 2006

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